“Memoria muscolare”

Nel mio lavoro e non solo mi sono imbattuto più e più volte in questa frase :” Sono un sacco di anni che non gioco/alleno però guarda mi ricordo tutto, tutta memoria muscolare”. Chi di noi non ha provato questa sensazione dopo tanto tempo che non faceva qualcosa e magicamente ritrovarsi a farla quasi meglio di quando l’aveva lasciata. La famosa “memoria muscolare”, tecnicamente chiamata “memoria procedurale” ha il compito di conservare le abilità motorie acquisite nel tempo. Secondo Gladwell sono necessarie 10000 ore di pratica deliberata per ottenere alti risultati nell’esecuzione di una determinata azione. Ovviamente pensare solamente a questo ci porterebbe ad allenarci o ad allenare troppo, causando l’abbandono dell’attività; questo è solo uno dei tantissimi parametri da prendere in considerazione. A questo punto senza entrare troppo nel particolare dobbiamo capire come funziona l’apprendimento motorio. Quando si apprende un nuovo movimento vengono richiamati tantissimi neuroni dalla corteccia primaria, permettendo miglioramenti anche in un solo allenamento (o al massimo 3), per il principio del “usalo e perdilo” della neuroplasticità nelle abilità motorie (Mayer et al., 2015). Questa è la fase veloce dell'acquisizione, ma questa fase dura poco e se non rinforzata, si perde l’effetto. Andando a rinforzare con ulteriori ripetizioni, si entra nella fase lenta di apprendimento detto “consolidamento”. In questa fase l’abilità viene padroneggiata e fissata nella memoria. Questo meccanismo richiede più tempo, così come ci vorrà più tempo a perdere i miglioramenti ottenuti. Ovviamente se non si riescono a praticare, si ha proporzionalmente la stessa abilità a “perdere” le qualità acquisite.

Ed ecco che arriviamo alla frase iniziale. Se una determinata abilità si è esercitata negli anni ma viene interotta, riprendendola, l’adattamento sarà più veloce (Landi et al., 2011) rispetto a chi non l’ha mai praticata. Questo fenomeno viene chiamato “risparmio” e spiega il motivo per il quale alcuni atleti eseguono bene i movimenti del proprio sport, anche se non li praticano da anni.

Il cervello per poter formare connessioni che durino nel tempo ha bisogno di almeno 3 settimane di pratica per 3-4 giorni con sessioni di 45-90 minuti di allenamento. Questa è la frequenza minima per fare in modo che il processo neurochimico non si rovini. Infatti la chimica del cervello è in continua costruzione e demolizione e bastano 2-3 giorni di mancata pratica per perdere ciò che si è acquisito in un solo allenamento. Per semplificare, il processo di apprendimento passa per un “danno”, i neuroni "rompono" il loro DNA per attivare la trascrizione dei geni necessari al processo di creazione di nuove memorie. In seguito il danno viene riparato e le memorie fissate. (Ram Madabhushi et al., 2015).

La memoria “muscolare” dunque è la capacità della nostra mente di apprendere nuovi movimenti, concetti, schemi, creando nuovi percorsi neurali per ognuno di essi, modicando il cervello, i nervi e i muscoli. Negli sport è un meccanismo estremamente utile, soprattutto in sport come il tennis dove si è svantaggiati se prima di muoversi si è costretti a pensare. Attenzione, il nostro cervello non sa distinguere tra un movimento sbagliato e uno giusto, infatti ripetere un movimento sbagliato per tante volte, creerà un automatismo errato permanente. Però il gesto potrà comunque migliorare, con molte difficoltà, creando circuiti nuovi e ripetendoli fino a farli diventare preferiti. Ovviamente rispetto a ripartire da zero, richiederà un enorme sforzo, perchè sempre per il concetto di “memoria” il circuito appreso sbagliato, farà interferenza con il nuovo corretto. Come allenatori abbiamo perciò una grande responsabilità. Se l’atleta durante l’allenamento per i primi 5 min fa un movimento corretto ma per il resto della seduta lo svolge male, nella memoria rimarrà solo il gesto errato. Pertanto per poter utilizzare bene la memoria muscolare, da quando si inizia a svolgere il colpo o movimento correttamente si dovranno eseguire almeno ulteriori 100 ripetizioni corrette, che non serviranno per migliorare, ma per “fissare” la giusta memoria nel tempo (Joiner e Smith,2008). Inoltre dato che un nuovo movimento non è stabile nella memoria, se viene subito seguito da altri movimenti nuovi, all’interno della stessa seduta, si creerà un’interferenza che non permetterà di trarrre vantaggio nel tempo dalla prima acquisizione. Anche l’attenzione alle fasi evolutive è importantissima. Nei bambini è fondamentale creare delle giuste tracce per i futuri movimenti per non renderli privi di questi ultimi una volta adulti. Infatti dopo la pubertà si ha una perdita di densità della materia grigia (Giedd, 1999, Sowell, 2001): è comunque possibile l’apprendimento di nuovi movimenti, ma con meno efficenza.

Dunque è fondamentale capire questi meccanismi sia come atleta che come istruttore, perchè allenarsi con questa consapevolezza farà la differenza tra ottenere risultati e ottenere massimi risultati.

“Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa.”

Luigi Pirandello

Maestro Andrea Gallo

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